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    La nostra lingua

    La nostra lingua

    In provincia di Belluno le valli Agordine con Zoldo, Ampezzo, Cadore e Comelico, così come evidenziato dal linguisti già nel corso del 1800, appartengono alla minoranza linguistica ladina così come riconosciuto dagli statuti comunali e dalla legge 482/1999 “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”.

    Le parlate dialettali risaltano ed arricchiscono l’amore per la storia e le tradizioni delle Valli Dolomitiche. Il Gruppo Folk Union ladina Val Biois svolge da anni azioni di tutela della propria identità culturale che non è sinonimo di chiusura ma può benissimo essere occasione di apertura al confronto e alla crescita comune, con l’auspicio che insieme si possano preservare, nell’inarrestabile globalizzazione, le identità da sempre arricchimento dei singoli e delle comunità.

    Storia dei Ladini: un popolo dimenticato e una terra cancellata

    Nelle Dolomiti vivono circa 50.000 Ladini. Questa minoranza linguistica è insediata nelle valli dolomitiche: la Val Badia, con la valle tributaria di Marebbe, la Val Gardena, la Val di Fassa, Livinallongo, Cortina d’Ampezzo, Comelico, Agordino, Cadore, Zoldo.

    La lingua ladina è nata dalla romanizzazione delle Alpi avvenuta nel 15 a.C. Le popolazioni che abitavano le Alpi prima della conquista romana, definite comunemente come “Reti”, avevano sviluppato una considerevole civiltà già dal V sec. a.C. Questa popolazione alpina assunse la lingua latina, che con il passare delle generazioni si trasformò in “ladino” (retoromancio).

    Il concetto scientifico di “retoromancio”, che trova correttamente un riscontro nel substrato retico della lingua, ha portato spesso ad incomprensioni. Si può constatare in genere una grande ignoranza sulla lingua ladina. Si parla ancora di un “miscuglio tra italiano e tedesco”. Per i Retoromani delle Dolomiti si usa soprattutto il termine “Ladini”, altri termini si usano per quelli del Friuli “Furlans” e per quelli dei Grigioni “Rumantsch”: “Romanci” o “Romanci Grigioni”.

     La lingua è – per esprimersi in termini generalmente comprensibili – situata circa a metà tra francese ed italiano. Strettamente imparentati col retoromancio sono anche l’occitano ed il catalano. Forte è la tendenza da più parti a strumentalizzare la questione ladina per i propri fini, ovvero ad impedire (finché si può) ogni forma di tutela e di autonomia per questa minoranza.

    Le componenti storiche

    Il ladino è una lingua a sé e non un dialetto italiano. Sebbene innumerevoli ricerche scientifiche confermino questa teoria ed anche personalità conosciute (come Pier Paolo Pasolini) abbiano manifestato questa opinione, essa non si è ancora imposta ovunque.

    Soprattutto motivi ideologici intorbidano i risultati delle ricerche scientifiche. I nazionalisti italiani, soprattutto nel periodo fascista, hanno definito (e definiscono tuttora) i Ladini come Italiani. Secondo questa tesi, il ladino non sarebbe una lingua autonoma, ma un dialetto italiano alpino – un dialetto italiano imbarbarito, come non ci si è dimenticati di aggiungere – ; un dialetto che deve essere nuovamente ricondotto alla “noblesse” della lingua italiana. A sostegno della tesi si adducevano in genere esempi provenienti dalla fascia del confine linguistico tra ladino ed italiano. E poiché il confine tra due lingue imparentate non è mai chiaramente definito, è facile falsare il quadro con l’utilizzo manipolativo di un ridotto numero di esempi.

    Tuttavia ad un’analisi scientifica seria la tesi secondo cui il ladino sarebbe un dialetto italiano non regge. Per esempio il ladino utilizza la -s nella seconda persona singolare e plurale dei verbi (ladino “tö as” – tu hai) e la stessa desinenza nel plurale dei sostantivi (ladino “les ciases” – le case) – una caratteristica che non è presente in alcun dialetto italiano, ma che si può certo trovare in altre lingue romanze (ad esempio nel francese). Casomai, dunque, secondo la logica “negazionista”, il ladino sarebbe più un dialetto francese che italiano.

    Nonostante l’affermazione ufficiale secondo cui il ladino era un dialetto italiano, i Ladini, negli atti del regime fascista, furono classificati come “alloglotti”. Un segno di come il Fascismo non credesse alle proprie stesse idee. Lo stesso Mussolini definì il ladino “la macchia grigia” che bisognava cancellare. Così fu avviato il programma di assimilazione nei confronti dei Ladini.

    La grande ingiustizia: la tripartizione

    La più importante delle misure del Fascismo per l’assimilazione dei Ladini è stata mantenuta fino ad oggi: negli anni ‘20 il Fascismo, al fine dichiarato di una rapida assimilazione, divise i Ladini, sia quelli che sotto il Tirolo asburgico erano rimasti insieme per quattro secoli, sia quelli che per casualità storica erano rimasti sotto la dominazione veneziana fino alla caduta della Serenissima, in due diverse regioni ed in tre diverse province. Cortina e Livinallongo con Colle di Santa Lucia, Comelico, Cadore Agordino e Zoldano appartengono oggi alla provincia di Belluno (regione Veneto), Fassa (Fascia) alla provincia di Trento (regione Trentino-Alto Adige) e Gardena e Badia appartengono alla provincia di Bolzano (regione Trentino-Alto Adige).

    Questa frammentazione della minoranza ladina non è stata revocata da alcuna amministrazione    statale o regionale, inoltre i confini provinciali sono oggi molto più impenetrabili di allora. Chi critica questa ingiustizia fascista è regolarmente marchiato da stampa e politica come “estremista, fondamentalista, pan-ladinista”.

    I Ladini non beneficiano di forme di autoamministrazione che superino la consueta amministrazione comunale (solo i Ladini di Fassa hanno una Comunità di Valle autonoma). In tutti i collegi politici democratici che deliberano anche sugli argomenti di interesse dei Ladini, i Ladini o sono una ridotta minoranza – la maggioranza decide sulla minoranza – o sono completamente esclusi. I diritti della minoranza ladina non sono quindi in larga parte riconosciuti.

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